domenica 10 febbraio 2013

LOS DETECTIVES SALVAJES

Appunti incompleti e disordinati. 




La prima volta che ho avuto tra le mani un libro di Bolaño mi ha portato via la potenza dell’abbandono. Si finisce inghiottiti in un vortice che sembra impreciso e pretende di essere seguito nelle sue sbavature. La forza dei due romanzi-mondo dell’autore cileno – i detective e 2666 – è in buona parte lì. Sono così tanti i personaggi, le storie e le circostanze che si intersecano, da richiedere un’imprecisione programmatica. È il prezzo di un’impresa che non vuole estromettere alcuni caratteri tipici dell’esperienza: il disordine, l’imprevedibilità, l’ignoto e la follia.

I
All’inizio dei detective selvaggi siamo catapultati nel mare di città del Messico, piantoniamo un bar dopo l’altro, naufraghiamo per i suoi quartieri, Bucareli, Reforma e Coyoacan, attraverso il racconto diaristico del diciassettenne Garcia Madero. Seguiamo la sua iniziazione mentre diserta l’università, incontra amici, mentori e amanti.
La schiera di pseudo poeti che gravitano intorno al realvisceralismo gli apre le porte di casa e lo precipita nel pellegrinaggio metropolitano a tempo pieno. Passa intere giornate a leggere all’Encrucijada Veracruzana, annota tutto, dorme dove capita, senza sapere cosa gli succederà durante il giorno, con che soldi mangerà. Rincorre rapito i due fondatori del movimento.