50 anni fa usciva La vita agra, brucio il 2012 con un ricordo di Luciano Bianciardi.
Un uomo nato in Toscana racconta la sua migrazione al nord. Sono i “miracolosi” anni ‘60 e Milano è l’avamposto del cambiamento.
Si sistema alla Braida del Guercio (Brera), isola bohème nel mezzo dell’isteria cittadina. Qui resistono ancora i colori sulle gonne e sulle guance delle studentesse di belle arti, e nelle osterie e nei bar si affollano i sogni di pittori, fotografi e poeti che tirano l’alba a straparole e vinaccio. Vive in una stanza doppia, umida e stretta, dalle pareti sottili passano i colpi di tosse dei pelotari con la bronchite cronica e i litigi dei giornalisti affamati. Tutti a pigione dalla vedova De Sio che sbarca a stento il lunario con due figlie malmaritate per casa.
Fuori dalla Braida invece soffia un vento ostile e la fretta scandisce la marcia dei passanti accecati dal lavoro. Mal si addice a questo ritmo il suo passo strascicato e incerto. Mani affondate nelle tasche, nessuna meta, il narratore importa al nord quel camminare per camminare, seguire i pensieri, perdersi che in città è perseguito per legge. «Lei camminava lentamente, e si è fermato due volte. Dove andava?» «A passeggio» «Ah si, a passeggio? Lei va a passeggio senza cravatta? Da solo? E non tira dritto per la sua strada? Va così lentamente? e si ferma?»